All in the family

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All in the family

All in the family coinvolge un aspetto del nostro lavoro che parte subito da una confessione, o meglio - com'è nello stile di Yvain Fiquet e dei nostri schemi, da una confidenza: anzi due. Una è quella che non vorremmo neppure porre con la formula di una domanda, ma suggerire come mood antidepressivo, come antidoto al Serenase della “comunicazione”, come alleggerimento all'ipertrofia della necessità generalizzata della psicologizzazione del senso, all'imperativo delle prove fatte ad arte, ecc.., eccola : il lavoro del pensiero (nel nostro caso l'arte dopo Duchamp per essere schietti) non deve necessariamente sempre confrontarsi con la prova della realtà. Fatto vero, che, come dice Casey (predecessore del nostro Yvain) - il predicatore di The Grapes of Wrath (Furore) di Steinbeck: ” Mi sono chiesto ma che sarà questa cosa che chiamano lo Spirito Santo? Forse è amore... esiste solo quello che la gente fa… e non c'è proprio nient'altro da dire“. ” It’s just what people does”, appunto. Casey più tardi verrà ucciso. Predicatore e ubriacone, clown e poeta, patetico e struggente, complessato ma determinato, radicale e ispirato.

Le sue parole infervorano le ragazze, e le ragazze svengono. Lui, come Yvain Fiquet, si avvicina per confortarle, ma finisce sempre per amarle. Allora, stretto dal senso di colpa, prega... ma non serve a nulla! E' un predicatore, o meglio, lo era; era un predicatore prima di perdere lo spirito, ora non è più sicuro di niente e non ha più nulla da predicare, si consola bevendo gin, come Pollock beve whisky nella lite con la moglie Lee Krasner nel nostro All in the family - provando a sottrarsi al suo destino di artista, con lo sguardo spaesato di un Ed Harris che lo interpreta meravigliosamente nell'omonimo film di cui è anche regista.


 

Casey, Pollock, Yvain, Alvin Pepler, Zuckerman scatenato (Philip Roth), Coleman Silk, Faunia Farley (The Human Stain), Anatole Broyard, Adam Walker e sua sorella Gwyn (Invisible di Paul Auster), Purity Tiler (la Pip di Jonathan Franzen), Miranda July di No One Belongs Here More Than You, ecc, ecc… per citare alcuni personaggi dei nostri “schemi”- e potremmo continuare nell'elenco, soccombono tutti; ma lasciano aperto uno spazio, anzi lo inaugurano. Questo spazio potrebbe essere il vero senso del nostro lavoro, se di senso siamo costretti a parlare, e se dobbiamo parlare di All in the family.

C'è un ordine normativo (sembra dire Yvain Fiquet dei nostri schemi e nelle sue lettere a Sophie (con quei maniacali dettagli che lo faranno un salgariano convinto) che fino a ieri - forse l'altro ieri, governava il corpo sociale del mondo della preglobalizzazione - en famille, come si dice. Grazie però al suo potere di strutturare e lasciare aperto quello spazio di senso per la registrazione dell'iscrizione simbolica e sonora delle “nostre parole” nelle sue “feste”; con il suo organizzarsi in parti prestabilite, con le sue cerimonie di marketing erotico, con i suoi dettagli rivelatori - ultimamente con le autopsie della fine della trasgressione nell'obbligo della trasgressione -, con le sue faticose routines postmoderne, con la necessità di mantenere aperto questo vuoto-nero o semplicemente di tenerlo in vita ancora un po', diventa testimone e araldo di quella che qualcuno definisce la società dell'angoscia, nella presunta astuzia - cioè la stupidità – della società capitalistica. E' qui che Yvain e i suoi sogni ci parlano, o meglio , è questo il luogo dove riusciamo ancora ad ascoltarli, e dove, l'oggetto del desiderio ( la sua Sophie ne è la deriva ), si converte in un frammento di senso, in un capriccio ripetitivo (come lo sono i sogni raccolti dalla Derbyshire in All in the family) e com'è la seconda delle nostre confidenze, che è anche l'ordine del discorso di R&M, che è l'ordine del discorso di “Bis und für” e del “Silenzio del Gendarme” (Lacan), ed è una voce: quella di M negli “schemi”.

Voce che vorrebbe sempre l'altra, quella di R dealterizzata, “decaffeinata” e protocollata, ma nello stesso tempo enigmatica, erotica, ospitante e autodisciplinata. Voci, R&M, che assieme si autoisterizzano, in quei passi prudenziali che in fondo ci commuovono sempre quando si rimpiange il passato, quel passato che Karl Valentin, il famoso cabarettista tedesco, ha così bene definito col suo motto: “Ah… Il futuro non è più quello di una volta”.

R&M




 

All in the family ’ è un montaggio - souvenir à venir di liti, splicing - interviste con persone che raccontano i loro sogni. Delia Derbyshire, Barry Bermange, Jackson Pollock, Lee krasner, Clement Greeenberg, Yvain Fiquet, ecc… vengono assemblati da R&M in un lungo dialogo dove la chiave, o qualcosa di simile a una chiave che apre la serratura di una porta - la porta di una casa forse - è il riconoscimento delle proprie manchevolezze e della propria condotta, dove, come nel caso di Yvain Fiquet e della sua love story con Sophie, tutti i personaggi mal sopportano la loro identità e non trovano altra soluzione per rimuovere la matrice del loro self-hating che dichiaralo o scusarsene in modo plateale.

L’installazione, che è composta da due case-palafitta parlanti, poste una di fianco all’altra (cm.180x50x40, legno, ceramica raku, cera, arbusti e spine), si inserisce in una serie di opere che fanno parte del ciclo Bark$, Bashes and Love che R&M collocano ironicamente nel closeout del sistema e del mercato dell’arte, aprendo un dialogo immaginario con il lavoro di altri artisti e persone comuni casualmente coinvolte; dove il filo rosso delle trame, dei conflitti, delle liti, delle “suspence”, delle banalità, delle tragedie e dei tradimenti, è assunto a modello di potenziale narrativo.

Qui, nel tessuto stesso del racconto, R&M provocano, col loro lavoro, il riconoscimento immediato del sapore e del sapere di quel ‘ terribile, incomprensibile modo in cui le scelte più accidentali, più banali, addirittura più comiche, producono gli esiti più sproporzionati ’ * *Philip Roth, Indignation.

Susan Zurbugg